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Un perchè

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Forse è il caso che spieghi il perchè di questo titolo così pomposamente oscuro. Il Monte Analogo è, come tanti luoghi inventati, un luogo dello spirito più reale che mai. Nel 1944 uno scrittore francese, Renè Daumal, s'inventò questa storia, Le Mont Analogue - il cui preludio potete leggere nella colonna di sinistra - dopo aver studiato per anni le filosofie e le mitologie indiane. Per carità, nè è uscito qualcosa di tutt'altro che dottrinale. Ebbene, un giornalista incline a studi filosofici pubblica un articolo su un mistico monte che unirebbe il cielo e la terra, il Monte Analogo . Sulla sua cima abiterebbero creature superiori che avrebbero la risposta a tutte le domande; lassù troveremmo il luogo dove ciascuno è come è. Una monodìa scatenata su cosa c'è in vetta al Monte la trovate all'inizio del blog, sotto il titolo. Dunque, un bel giorno il nostro protagonista (che si chiama Theodore) riceve una lettera da parte di un tale padre Pi

Dinosauri d'appartamento - Il bar di Sandra (2)

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  ... - Zitta tu. - Ma se è adorabile, risponde Sandra, e le fa pat pat sulla testa. - Piace a tutti. È quello il suo problema, commento. - Ma se finora ti ho solo salvato le chiappe, risponde lei. - Non da me, interviene Sandra ghignando. – Ebbene? - Mi hai ferito. Silenzio. Trofonia smette di masticare. Sandra sgrana gli occhi. - In che senso? - Io ho tutta una serie di difficoltà con le altre persone, e su questo siamo d’accordo. Te ne sei accorta perché sei un’attrice con un buon occhio, e va bene, tutto sommato di questo ti devo ringraziare – di non essere rimasta completamente indifferente, come molti altri prima e dopo di te. Ma proprio perché ero più fragile, era tuo dovere non approfittartene. Sandra è ancora più allibita. - Niente che si possa denunciare, per carità, non sei mica una criminale, continuo per non perdere il terreno guadagnato. – Ma a un certo punto devi avere deciso che io reprimevo qualcosa, e che la soluzione era farmi fare il tuo mestiere

Dinosauri d'appartamento (parte 13)

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 ... È che purtroppo, tra colonna vertebrale parallela al terreno, coda che si sta irrigidendo, e la ritrazione del muscolo caudofemorale, se decide di mettersi a correre Trofonia è velocissima. Sicuramente più di un precario universitario con la pancetta. Vagabondo per i boschi, sperando che mi ritrovi con il naso. Incappo in un cartello: riserva di caccia. Ma no, figurati se ci entra. Le ho pur detto che non deve farlo. Sento qualche sparo in lontananza, il solito nugolo di uccelli che si dilegua, i cani che abbaiano all’orizzonte. Ordinaria amministrazione. E poi ad un certo punto, mi pare di vedere qualcosa nascosto sotto un pino mugo, quelli che stanno attaccati a terra. Qualcosa di grosso e con la coda. - Trofonia? Mi risponde un guaito. C’è sangue sulle fronde intorno. Con gli occhi sbarrati e senza respirare, mi avvicino. Trofonia è accucciata alla base del tronco, protetta dalle fronde di aghi. C’è un foro di proiettile – grazie al cielo, di striscio – poco sopra una delle sue

Dinosauri d'appartamento - Il bar di Sandra

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  ... Fermo la macchina nell’ingresso di una villetta illuminata. Altre macchine sono parcheggiate qui e nel vigneto dall’altra parte della strada. La villa è piena di gente, dentro e fuori, i camerieri passano con i vassoi. Scendo con Trofonia, tenendomi stretto a lei per farmi forza. Avvicinarsi ad un luogo pieno di luce, gente e rumore non è uno scherzo se sei me. - Non mi dirai che hai un appuntamento con qualcuno, Giulione. - No, Trofonia. Semplicemente è un posto dove andavo un tempo. Mi è venuta nostalgia. - Vabbè, magari conosci qualcuno. - Magari stai zitta e non mi stressi. - Guarda che ho gli speroni ora. - Devi solo provarci.   Entriamo dalla porta a vetri, ci fanno accomodare, il cameriere esclama che Trofonia è adorabile e le fa cucci cucci sotto il mento. Trofonia gli risponde con qualche colpetto del muso tipo testatina da gatto, che funziona sempre. Ci fanno accomodare su un divano illuminato da sopra, con spazio abbastanza perché Trofonia si sieda per

Frammento. Il ritorno al fiume

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Dopo anni di vagabondaggio, nessuno seppe mai con precisione né dove né perché, fu grande la sorpresa in quel tratto del fiume Nyongo, vicino al Sanaga ma prima della cascata di Mbalmayo, nel vedere un bel giorno ritornare il visconte Lord Brinsley. Ritornare a casa , perché era nato lì trentadue anni prima; e ritornare non solo in compagnia del suo avvocato, Mr Lorimer, che lo aveva incontrato per caso mentre pescava sul corso superiore del Nyongo; ma di una che veniva da fuori (non era mai stata lì) e che Lord Brinsley presentò a tutti come sua moglie. Non si vedeva un viscontessa in quel tratto di fiume da anni, da quando era morta la madre di Lord Brinsley, e il visconte padre non aveva più preso moglie; d’altronde aveva ormai novant’anni e dopo cinque compagne, pareva che non ne avesse più voglia. Non che gli mancassero le forze di fare alcunché, anche perché poco o nulla gli era richiesto, alla sua età: stare a prendere il sole sulla riva, guardare seccarsi il fango, e me

Da *Il primo viaggio*

Da ormai tre o quattro anni, non ricordo bene il numero preciso, Virgilio era morto. A essere onesti, dopo quella brutta insolazione – e col rottame di stomaco che si ritrovava – la cosa non gli era parsa strana, e una volta fatta, non si era scomposto più di tanto. Quando si trovava per caso a discutere con gli amici, ne parlava sempre come di un fatto trascurabile. E non gli si poteva negare che quello che aveva imparato dopo che era morto era la vera notizia. Quando gli arrivò la chiamata era appunto morto da tre o quattro anni. Intendiamoci, tre o quattro anni per noi che viviamo nel tempo lineare: all’Inferno il tempo non esiste. E insomma era in piedi, appoggiato ad una roccia scaldata dalla timida luce del Limbo, all’ombra profumata di un abete, e si era perso in chiacchiere con altri romani e greci morti prima di lui. Questi sedevano, chi su roccia chi per terra, chi appoggiato al tronco, chi – come Cornelia, la mamma dei Gracchi – sdraiata accanto al ruscello che scorreva

Dal *Mauretania*

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Pochi giorni prima di diplomarsi all’Accademia – quando sarà stato? Dieci anni fa? – Elizabeth era stata avvicinata dall’Ammiraglio Variam in persona. Era ora di cena, e lei si era attardata a finire di leggere un libro mentre mangiava, con studiata lentezza, il vasetto di crema alla mandorla che quel giorno, chissà perché, passava la mensa. Non che fosse un granché – come tutto quel che usciva da quella cambusa, faceva schifo – ma Elizabeth si era inchiodata a quel romanzo perché voleva finirlo, e già che c’era, perché non finire anche quel grumo di zucchero male impostato. Si accorse che qualcosa non andava quando, sullo sfondo della pagina olografica che aveva davanti agli occhi, non vide più il resto della mensa, i tavoli e i cadetti che vagabondavano, ma la casacca rosso sirena di un alto ammiraglio. Spense il lettore olografico e fece per scattare sull’attenti. Lui fece un gesto, come a dirle di stare lì dov’era. Non si sedette però accanto a lei. La guardò anzi da tutt

Dalle *Ventisei settimane*, cap. 10

- Fra? - Sì? - Sinceramente, a volte non capisco se quando ti parlo mi ascolti o no. - Perché? - Ogni tanto ti si annebbiano gli occhi, così all’improvviso, e sembri partire per diecimila chilometri. Guardi nel vuoto e non rispondi più. Ti sei fatto mai visitare? - Per cosa? - Per l’autismo. - Oddio, no, mai. Perché, secondo te ho - - Ma no Fra, era per ridere. Anche questa cosa che prendi tutto sul serio. Sei sempre… non so. Terrorizzato. Te lo ha mai detto nessuno? - Mio padre, annuisco con aria mogia. – spesso. Cioè, non spesso, perché ormai lo vediamo poco, però me lo dice ogni volta che lo vedo, e quindi – Come colpito da qualcosa che ho detto, Marcello sulle prime non risponde. - Lo vedi poco, dici? - Bè, non viene spesso a trovarmi ultimamente. - Capisco. Vivi da solo? - No. Con mio fratello maggiore. - Ah. Ma tu sei di qui, no? Non sei fuorisede. - Certo, nato e cresciuto qui. - Bè, e sei già fuori casa? Niente male. Quando te ne sei andato?