Dalle *Ventisei settimane*, cap. 10


- Fra?
- Sì?
- Sinceramente, a volte non capisco se quando ti parlo mi ascolti o no.
- Perché?
- Ogni tanto ti si annebbiano gli occhi, così all’improvviso, e sembri partire per diecimila chilometri. Guardi nel vuoto e non rispondi più. Ti sei fatto mai visitare?
- Per cosa?
- Per l’autismo.
- Oddio, no, mai. Perché, secondo te ho -
- Ma no Fra, era per ridere. Anche questa cosa che prendi tutto sul serio. Sei sempre… non so. Terrorizzato. Te lo ha mai detto nessuno?
- Mio padre, annuisco con aria mogia. – spesso. Cioè, non spesso, perché ormai lo vediamo poco, però me lo dice ogni volta che lo vedo, e quindi –
Come colpito da qualcosa che ho detto, Marcello sulle prime non risponde.
- Lo vedi poco, dici?
- Bè, non viene spesso a trovarmi ultimamente.
- Capisco. Vivi da solo?
- No. Con mio fratello maggiore.
- Ah. Ma tu sei di qui, no? Non sei fuorisede.
- Certo, nato e cresciuto qui.
- Bè, e sei già fuori casa? Niente male. Quando te ne sei andato?
- Mai.
- In che senso?
- Non me ne sono mai andato di casa.
- Cioè, tu e tuo fratello avete sempre vissuto lì dove state ora?
- Sì.
- E tuo padre, allora?
Ci penso su, perché devo riassumere un bel po’ di roba.
- Dunque, mio padre è un grande viaggiatore. Nel senso che viaggia spesso per lavoro. E questo è un primo punto da considerare, sennò non capisci il resto. Non ho mai capito bene che azienda ha ma è una di quelle che funziona solo se tu personalmente vai a trattare coi clienti, ovunque essi siano.
- …non sai che lavoro fa tuo padre?
- No.
- Non ve l’ha mai detto?
- Ogni tanto ne parla, ma dà per scontate una marea di cose tecniche che io e Fabrizio non capiamo.
- Ok, ma non gli hai mai chiesto di –
Lo sguardo che mi vede in faccia deve averlo spaventato, perché si blocca subito.
- Chiedere? A papà?
- Non… no?
- Dio, sì, se ti serve qualcosa. Fabrizio è molto bravo a chiedere soldi. Per il resto basta, parla lui e noi ascoltiamo. Sennò sai che imbarazzo.
- Non so se ho capito bene. Ma eravamo rimasti al babbo viaggiatore.
- Sì, ecco, lui è spesso fuori casa – diciamo quasi sempre. Per lavoro, ma non solo per quello. A essere onesti penso che per uno come lui stare con me e Fabri sarebbe un po’ complicato. Tutte le volte che compare a casa non passano due giorni che mamma o Clara – o tutte e due – gli saltano addosso tipo sfondando la porta, e dove vai, e da quando sei qua, e non dici niente, e i tuoi figli eccetera. Ci credo che non ha voglia di stare a casa. Di solito aspetta qualche giorno e poi scappa, perlopiù di notte.
- Clara chi è?
- La madre di Fabrizio.
- Ah, siete di madre diversa.
- Sì. La mia si chiama Morena.
- …e queste due dove vivono?
- Ognuna a casa sua, che io sappia. Clara abita sui colli, ha una villa là. Morena lavora in un condominio, fa tipo l’amministratrice. Non sta in una villa ma l’appartamento dove vive è suo.
- In pratica al momento siete in casa da soli.
- Già.
- Bè, bello.
- Non lo cambierei, infatti.
- Però tu e tuo fratello sarete grandicelli ormai. Quanti anni avete di differenza?
- Cinque. Io ne ho ventiquattro, lui va per i ventinove.
Marcello tace per un attimo.
- Tu dici che tuo babbo ha sempre viaggiato per lavoro. E allora chi stava con voi quando eravate piccoli?
- Noi.
Di nuovo quello sguardo, come se avessi non so cosa sulla faccia, un mostro, una macchia, che ne so. Istintivamente mi porto la mano al viso. Niente di strano. E allora perché mi guarda come se fossi una vescica?
- E le due… insomma, le vostre madri?
- Mai vissuto con loro, che io ricordi. Non continuativamente, intendo.
- Tuo babbo, continua Marcello – è sposato con una di ‘ste due?
- Non credo, sai?
- Non credi?
- No. Non ho mai sentito dire da nessuno che è sposato con nessun altro in casa mia.
- E nemmeno hanno vissuto insieme in passato?
- Sì, ma per poco.
- Sempre in tre?
- Aspetta, è complicato. La prima è stata Clara. Vivevano insieme una volta, prima che Fabrizio nascesse. Non penso sia durata tanto. Papà aveva appena cominciato a viaggiare per lavoro. Poi è nato Fabrizio, e lì sono cominciati i guai, perché papà non ha mica smesso di viaggiare, anzi.
- Ah. Stava un po’ per i cazzi suoi?
- Penso di sì. Clara per un po’ ha retto, ed è rimasta in casa a badare a Fabrizio. Poi, quando Fabri aveva cinque anni, papà è tornato a casa con Morena.
- In che senso?
- Nel senso che se l’è portata a casa. Credo per cose pratiche, mica per vivere insieme, eh, che tipo due mesi dopo dovevo nascere io e allora Morena voleva capire di che e dove avremmo campato. Poi ha preso il posto fisso in condominio, quindi no problem, ma all’epoca non aveva né un lavoro né una lira che s’inzuccasse con l’altra, e lei è una che ama lamentarsi. Fabrizio dice sempre che siamo uguali, io e mia madre.
- No, scusa, frena. Tuo babbo è tornato a casa con Morena e te in pancia?
- Te l’ho appena detto. Incinta di sette mesi.
- Clara come l’ha presa?
- Non bene. Gli ha fatto vedere l’inferno. E Morena con quella pancia che aveva non si poteva muovere, dovevi farle tutto tu. Mi hanno raccontato che dopo due giorni papà è di nuovo scappato. Clara stavolta non si è fatta fregare e lo ha inseguito.
- Con tuo fratello?
- No, lui lo ha lasciato a casa. Fabrizio mi ha detto che per i successivi due anni non l’ha più vista.
- Cristo santo. E chi c’era a badare a voi due?
- Mia madre. Morena alla fine mi ha scodellato in anticipo, a metà dell’ottavo mese. Papà aveva lasciato due soldi in casa e così Morena è rimasta con noi, a cercare di fare come poteva. Poi dopo un anno mi ha detto Fabri che pure lei se n’è andata a caccia di papà.
- Prego?
- Eh, sì. Tanto un lavoro mica l’aveva. Aveva solo papà. Fabrizio ormai aveva sei anni e io già camminavo. Evidentemente era tranquilla su questo punto.
- Ma è una follia. E quanto siete rimasti da soli?
- Ma, non saprei, ero piccolo, non ricordo. Fabrizio aveva dei soldi, mi ha raccontato – forse glieli aveva lasciati Morena – fatto sta che per qualche giorno si è tipo arrangiato facendo la spesa lui.
- A sei anni?
- Eh, infatti non è durata molto. Ci hanno beccato i servizi sociali. Hanno sfondato la porta di casa, frugato ovunque, e poi hanno costretto papà a tornare a casa per badarci.
- Ah.
- Poveretto. Appena è tornato mia madre e Clara gli sono piovute addosso come pietre giù da una torre.
- E com’è finita?
- Allora, nell’ordine. Mia madre ha avuto un esaurimento. È rimasta in cura per un po’ in un ospedale, poi è uscita e ha trovato il lavoro in condominio. Ed è andata a stare nel suo appartamento, insomma a casa sua, perché le è morto lo zio che abitava lì. Clara in tutto questo ha cercato di fare la dura ed è tornata nel suo villone, ma papà non ci è cascato e non l’ha richiamata. Da allora siamo noi e papà in casa. Poi da quando Fabrizio ha fatto i sedici anni, papà ha ripreso a viaggiare di brutto e torna ogni tanto, giusto per fare una pausa prima del taxi per l’aeroporto.
- Bè, però per dieci anni è stato lì.
- Oh, sì, sì. Non dormiva spesso da noi, eh, e poi lavorava tutto il giorno, però sì, vederlo lo vedevi. Fabrizio era quello che parlava con lui, io se avevo bisogno di qualcosa chiedevo a Fabri di chiederlo per me. Credo di non avergli mai chiesto niente da solo prima dei quindici.
- E che gli hai chiesto a quindici anni…? Un cane? Un motorino?
- Non ridere. Di pagarmi le lezioni di canto.
- Ah. È così che le paghi.
- Sì, rispondo, ormai rosso emorragia.
- Ma scusa. E in tutto questo, le vostre madri?
- Anche loro ogni tanto le vediamo. Passavano da noi quando ero piccolo per stressare papà. Ogni tanto ci portavano regali. E non stavano mai zitte, sempre lì a strusciarsi contro papà. A volte anche insieme.
- Ma questo tizio deve essere proprio – non so, il dio del sesso? Per rincretinire così due donne adulte e autonome.
- Eh, lo dicono in tanti che papà ha il suo fascino. E Fabrizio ha preso tutto da lui. Anche per come si veste. È un tale fighetto. Io invece somiglio proprio a mia madre. Tipo, il naso è uguale.
- E ora siete da soli.
- Sì. Papà ci ha comprato l’appartamento dove stiamo, è intestato a Fabrizio. Ogni tanto manda soldi o parla con Fabrizio su Skype. E insomma, così vanno le cose adesso.
- Fra, ma voi due…?
- Noi due chi?
- Tu e tuo fratello.
- Cosa?
- Non siete… cioè, non avete…?
- Cosa?
- Non vi ha lasciato nessuna … difficoltà, tutto questo?
- Tutto questo cosa?
- Quello che mi hai appena raccontato.
- Direi di no. Fabri è uno molto quadrato e ha sempre gestito la casa. Ha un lavoro e guadagna bene. Io sto per laurearmi, e presto avrò un lavoro pure io. Siamo anche due persone molto sobrie, tipo che per le vacanze andiamo alla piscina comunale. Per cui direi che ce la caviamo benissimo.
- Benissimo, eh?
- Certo. Pensa se papà andava in bancarotta. Lo temevamo qualche anno fa, ma poi in realtà si è scoperto che non era vero e lui ne è uscito con l’azienda intatta e il doppio dei quattrini, per via del risarcimento credo. Insomma, ci può aiutare. Anche mamma e Clara ogni tanto hanno fatto qualcosa, e se per noi si mettesse male, farebbero di più. E poi Fabrizio lavora. Insomma, io non vedo alcun problema.
Marcello china la testa. Ormai siamo arrivati alla fermata dell’autobus e lo stiamo aspettando da un dieci minuti. Il tramonto ci è davanti, e luccica sopra l’acqua mossa del fiume. Non ho capito cosa ho detto di tanto strano.
- A che difficoltà ti riferivi?
- Una meno materiale. Un segno, che questa vita vi ha lasciato.
- Tipo?
Marcello mi guarda, e comincia a rollarsi una sigaretta.
- Boh. Ma in fondo, che me ne frega. Odio i crocerossini.
Passa l’autobus, e saliamo.

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