La quiete

Da molti anni vivo tranquillo e senza farmi notare, nella periferia di una grande metropoli. Sono lontani i fuochi e le feste dei miei primi giorni: immagine indistinta ed oscillante nella calura è il profilo aguzzo della città dove sono nato, immersa nella grande pianura. Anni fa, in fuga da un esercito che s'era smembrato nell'inseguirmi, arrivai qui, ed affittai un appartamento. Ebbi cura di conservarmi uno spicchio di giardino; i vicini mi guardano mentre nelle purpuree, eterne serate di luglio lo curo e lo coltivo. Il filare di pomodori sfugge al recinto, e si innalza verso le altre case disperse nella cavedagna.

Ho due figlie. Calloandra, la maggiore, è una ragazza alta e un poco timida. Come giocano gli occhi e la bocca nel silenzio della sua risata, è cosa che non so da dove venga. Talvolta mi aiuta in giardino; non vive lontano da me, e non vive sola. Ma ci sono tante cose di lei che non riesco tuttora a capire. Renoppia, la minore, fa la cantante: è sempre in giro per le colline a fare intermezzi buffi con la sua compagnia, un matto dietro l'altro. Fa vita nomade, ma spesso mi dà sue notizie. Quando non canta, accompagna con il cembalo. E' difficile tenerla ferma.

Le mattine d'inverno, faccio fatica ad alzarmi. E' che il sangue gela in quelle che una volta erano vene. Le vite passate me la fanno pagare sempre di più, stagione dopo stagione. Così salgo sul tetto del condominio, e il sole pallido sul nereggiare dei solchi dell'aratro, mentre infiamma le pareti delle case, riscalda il mio sangue e dilata i miei capillari. Io, sfuggito ai miei nemici, sfuggito all'estinzione, in quegli istanti di luce mi espando, e nel passato che non c'è più, ma che ho vissuto, divento enorme, povero dinosauro solitario.

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