Mangiare nascosti

La palma cicadèa se ne sta addossata al tronco, col suo grappolo di semi chiuso nella muraglia delle sue fronde. Col becco cerco di farmi strada. Non c'è verso. M'innalzo sulle due zampe, m'appoggio alla base della pianta e il collo si snoda verso il grappolo di semi. Un colpo di becco e l'ho strappato quasi tutto. Ingoio il boccone di felci che avevo prima e attacco a masticare i semi. Uno dei pochi sapori che ricordo bene, perché l'ho gustato nel nido. Finisco le fronde della palma cicadèa masticando con chiasso. Il sottobosco è tappezzato di fiori rossicci; un'ape mi ronza davanti all'occhio destro. Sbuffando, ricado sulle quattro zampe.



La parete del bosco è tappezzata di felci e cicadèe. Distinguo platani, magnolie, ginkgo - e stranutisco, perchè l'odore del gingko mi dà proprio alla testa. Le araucarie gliel'han data su da qualche milione di anni e son lì, rade, basse; qualche conifera svetta ancora. Ma a me questa lotta tra piante importa il giusto. Mangio un po' di tutto. Tranne forse qualche cosina un po' troppo dura per la mia bocca più stretta di altre; pigne, rametti, germogli, aghi di pino - roba buona per i miei biscugini di prateria, obesi e senza cresta. 

Ad ogni boccone strappato attacco a masticare, ruoto gli occhi per guardarmi intorno, sto attento ad ogni scricchiolìo, inspiro una massa di odori da distinguere uno per uno. Da un paio d'ore quel grosso carnivoro è sulla riva del fiume e squadra con i suoi piccoli occhi neri la parete del bosco per trovarmi. Si diverta. Il mio colorito verde scuro, ocra, a macchie nere lo sta facendo dannare. Per lui debbo sembrare un pezzo di bosco. Vediamo quanta pazienza ha. Ho gambe sane e lunga coda; finché se ne sta lontano, posso fuggire senza rompere un rametto.

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