I chiodi


[sembra ormai abbastanza chiaro che il cervello dei dinosauri, dal più complesso al più semplice, assomigliasse ad un complesso di interruttori della luce. Ogni interruttore doveva avere la sua etichetta - fame, sete, pericolo, amore, prole, rivale, panico e via così. Funzionava solo un interruttore alla volta, se provocato da un evento esterno. La vista di un predatore spegneva l'interruttore del momento e attivava quello della difesa; allorché il predatore cessava di essere una minaccia agli occhi dell'animale, l'interruttore difesa si spegneva e in pochi secondi l'animale tornava alle sue occupazioni precedenti, forse senza nemmeno ricordare cosa era appena successo.]

Dove?

Cosa -

(Sono stato io?)

Presto, prima che -

prima che -

– l'ossesso coi denti che rantola e sbatacchia a terra la coda e la zampa posteriore destra – l'unica che può usare, quella che non gli ho ridotto in pappa –

Tutto sta affondando nelle profondità della mia piccola testa, e io devo recuperarlo in fretta, o lo perderò per sempre. Sento che sto per dimenticare tutto. Sento l'odore dell'acqua, ho sete – avevo sete prima di... di quello che è successo, e ora che quello che è successo è successo ed è finito, la sete di prima sta tornando: e dice che devo pensare solo a lei – e nella mia piccola testa, che non può pensare a due cose contemporaneamente, il mio interesse sta lentamente tornando al problema numero uno. Ma cos'era il due?



Ero uscito dalla foresta – avevo sete. È il momento in cui le piogge hanno fatto germogliare tutti i tuberi e le piante sotterranee. Di solito, dopo aver bevuto, cerco getti e piantine sulle rive del fiume, e così pensavo di fare. Sono un animale che vive di abitudini. Così ad un certo punto non c'erano più alberi, ma non ci facevo caso, perché andavo dritto verso l'acqua – non la vedevo, ma sapevo benissimo che c'era, era lì che mormorava dietro la collinetta di terra.

L'ossesso era lì pure lui; non so da quanto, non so se passava per caso, non so se mi seguiva. In cima alla duna ho sentito il suo odore – e nella mia piccola testa è esplosa una scarica. La mia coda si è mossa da sola, un colpo dopo l'altro, lateralmente, con furia. L'ossesso ha ruggito, è corso verso di me. Neanche lui l'ho visto, ho stirato il collo, ma vedevo solo una forma confusa e il triangolo dei denti – la mia coda continuava a muoversi da sola, i muscoli alla base oscillavano con la violenza di una pietra – ma l'ossesso era alto sopra di me, e lui mi vedeva benissimo. Non so quanto tempo è passato mentre ripetevamo la danza della morte – lui veniva, io urlavo, la coda si muoveva, lui spesso tirava un calcio alla mia pancia dove non ho la corazza – una piccola falce mi torturava scavando piccoli fulmini nella curva del ventre. Ero rauco, capivo solo che l'ossesso doveva andare dietro – dietro, dovevo far andare dietro l'ossesso – perché se mi fosse venuto dietro anche solo di tre quarti l'avrei colpito con la coda, l'avrei spaventato – ma lui era così veloce, così tanto più veloce – e la mia piccola testa non capiva come fargli fare una cosa così semplice. Poi l'ossesso ha saltato, ha sbagliato, è atterrato a portata della mazza che ho alla fine della coda e BAM – e il fragore dell'osso è andato perso per le nostre grida.

L'ossesso è lì. Non mi minaccia più. È sdraiato, schizza sangue, ruggisce e mi guarda con due grandi occhi color dell'ambra. Io, nitido, ottuso, lo guardo senza vederlo – sento la terra che trema per i colpi dell'osso esposto e l'odore acre del sangue. Sento la morte.

Ecco, così è andata. Ho ricordato, ci sono riuscito. Ma la piccola cosa all'interno della mia piccola testa non ha voglia, non ha spazio sufficiente. Ascolta i segnali del mio naso, delle mie orecchie, dei miei occhi – sa che nessuno mi disturba più – e l'interruttore che mi aveva costretto a difendermi si spegne. Guardo l'ossesso e tento di tenerlo acceso, tento di ricordare disperatamente. Nel buio della mia piccola testa, tento di fissare il ricordo. Ma ho sete, ho sete – il martello nella mia piccola testa mi sta reinchiodando a terra – e non mi permette più di occuparmi dell'ossesso.

Però stavolta, ricordo. L'ossesso, e tutto questo – è successo centinaia di volte. Perché sono vecchio, ormai. Il dolore – i resti della scarica che galleggiano nella mia piccola testa – il mio sangue che scalda la curva del ventre – il rumore del corpo dell'ossesso che cade a terra, il silenzio che torna sul gigante che muore –


ricordo

Commenti

Anonimo ha detto…
bello!..
toppe ha detto…
...però se è allogorico me lo spieghi.

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