Dal *Mauretania* (titolo provvisorio, capitolo II) - con E. A. Daniele
Oggi 29 ottobre della tredicesima indizione, ore
23:45 secondo il cronografo di bordo, dal suo alloggio sul ponte 2 scrive
Elizabeth Frances, prima baronessa Delamere, al comando del Mauretania, varato… vabbè, questo posso
anche non dirlo. Se state leggendo, vi andrete a guardare i registri ufficiali.
Tanto so che non state leggendo, nel
senso che nessuno metterà mai gli occhi su queste pagine. Le tengo per motivi
del tutto privati, su consiglio del mio – direi analista, ma è scorretto,
perché non lo è – insomma, a mio uso esclusivo e personale. Come inteso con
lui, descriverò le mie ultime 40 ore a bordo della mia nave.
Se ora o in futuro mi venga un qualche vantaggio da
questa pratica, davvero non lo so. Primo, perché chi me l’ha consigliata, il Dr
Dunwich, non potrà ascoltarla. Il capitano di una nave i suoi sfoghi se li
tiene per sé, e il mio riserbo, che da dovere è ormai diventato abitudine, non
fa eccezioni – nemmeno per lo psicologo di bordo. Secondo, perché il pover’uomo
me l’ha consigliato senza sapere nemmeno esattamente perché ne avessi bisogno –
perché ovviamente io non gli ho detto quale sia veramente il problema.
Ho aperto gli occhi ieri mattina, alla solita ora,
come centinaia di altre volte da quando sono a bordo di questo vascello.
Eviterò di raccontare i sogni di quella notte, che vorrei tacere persino a me
stessa. Mi sono risvegliata mentre stringevo gli orli del piumone con le mani
ridotte ad artigli. La sera prima mi ero dimenticata di oscurare la finestra —
e quando il Mauretania ha imbroccato
l’angolazione giusta, la luce di Sirio mi è entrata nella stanza. Tutto si è
illuminato di un bianco azzurrino e sporco. Improvvisamente mi è sembrato di
essere ad una specie di processo. Qualcuno mi puntava addosso una lampada e
tutte le stelle mi facevano domande, ma erano così tante e così lontane, che
non riuscivo a capire chi mi chiedesse cosa. Questo non ha aiutato la mia
emicrania.
Ho ordinato al computer di oscurare il vetro e sono
tornata al buio per un po’. Poi finalmente sono riuscita a mettere i piedi sul
pavimento. Senza il piumone addosso ho creduto di essermi liberata di una
montagna. Quasi carponi, sono entrata in bagno, e mi sono seduta sullo sgabello
davanti alla doccia. Dopo le coperte, anche il pigiama sembrava pesarmi
addosso; e solo quando me lo sono tolta mi è parso di respirare.
Dopo un turno di novantasei ore sul ponte, e una
notte che definirei tutto tranne che rilassante, conosco un solo modo per
ritornare umana abbastanza in fretta da potermi godere la mezza giornata che mi
separa dal prossimo turno. Ho guardato con occhi torvi la doccia in un angolo
del mio bagno, proprio accanto alla finestra oscurata. Di nuovo, ho ordinato al
computer di spegnere le luci del mio alloggio, tranne quella che sovrasta le
pareti della doccia. Improvvisamente mi sono trovata in mezzo al buio, con una
sola colonna di luce circondata dalle tenebre.
Mentre accendevo l’acqua calda, e la sentivo
scorrermi addosso lavando via la notte, ho pensato alle distanze. Che io
sappia, nessun essere umano è arrivato dove siamo arrivati noi adesso – e a
meno che le altre due navi non siano arrivate prima del previsto, noi del Mauretania siamo anche gli esseri umani
più lontani da casa di tutti i tempi. Eppure la galassia è talmente grande che
otto anni luce non sono niente di che. Il cielo come lo vedo fuori dalla mia
finestra è più o meno lo stesso che vedrei se fossi ancora a casa. Le cose
cambierebbero se ci trovassimo in un altro superammasso galattico, o in una
galassia radiosorgente, o in una protogalassia, laggiù verso i bordi
dell’universo osservabile – là il Mauretania
verrebbe aperto come una lattina prima di poter fare un metro. Il pensiero di
questa nave distrutta mi infesta come l’edera. Ho chiuso gli occhi e ho
ordinato al computer un po’ di musica, a tutto volume – e finalmente ho avuto
quello che volevo. Non c’era più Mauretania,
non c’era più Terra né destino né dovere. Ero lì, sola, avvolta in un fascio di
luce e di acqua e circondata da idrogeno e nulla, pronta per uscire un’altra
volta dal grembo di mia madre.
– Computer, alzare il volume di sei unità.
La
gradazione richiesta potrebbe essere dannosa per l’orecchio.
– Ignora i protocolli e alza il volume, gli ordino
nuovamente, e finalmente ci casca. Händel è sparato per tutto il mio alloggio
ad alto volume e io posso battere col piede il ritmo del basso continuo mentre
mi asciugo.
Mentre butto gli abiti da lavare e il pigiama sul
letto, mi cade nuovamente l’occhio sui miei scaffali. Un giorno o l’altro farò
in modo di voltarli verso il muro – non fanno che innervosirmi. Mi ricordo
ancora il giorno che sono salita a bordo e ho preso possesso del mio alloggio,
con tutti i miei scatoloni pieni di libri – dico libri nel senso libri di
carta, non digitali. Ankarström, che mi aiutava a disfare i bagagli, si era
stupito che avessi tanto antiquariato con me. Io sono rimasta sul vago, dicendo
che era un misto tra eredità di famiglia e materiale recuperato quando, da
ragazzina, andavo per le ville abbandonate nella zona radioattiva per far
vedere che ero tosta. Il mio primo ufficiale è abituato al fatto che non parlo
dei fatti miei con nessuno, e si è serenamente accontentato della mia risposta.
Ma se sapesse che in realtà non c’era nient’altro da dire! Perché io davvero non ricordo come ho messo le mani su
tutti questi libri. Ce li ho sempre avuti, o almeno così mi sembra. E questa è
la prima cosa che mi fa innervosire. La seconda è un errore di calcolo, che
confesso malvolentieri. Quando questo viaggio è iniziato, m’illudevo che
sarebbe durato relativamente poco, e come sfidando me stessa, mi sono detta che
la nostra missione si sarebbe conclusa quando avessi finito di leggere tutti i
miei libri di carta. Da brava sprecona mi sono messa a passare preziose ore del
mio tempo libero a macinare romanzi su romanzi. Quando poi è stato chiaro che i
dintorni del sistema solare sono molto
meno amichevoli di quanto pensavamo, ero già arrivata a metà della raccolta, e
ho dovuto rallentare bruscamente. Adesso leggo una o due pagine alla settimana,
e per il resto del tempo rileggo, o cerco d’imparare a memoria.
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