Quel 12 luglio (II)
R.
L’acqua lì era più profonda. C’erano pesci più interessanti. E poi c’era un
odore strano, che volevo indagare meglio.
D. Vuol
parlarcene?
R. Ogni
volta che passavo sopra quella fossa sott’acqua mi pareva di sentire lo stesso
odore che avevo sentito giorni prima, risalendo il New Jersey. Certo, stavolta
senza sangue. La mattina del giorno dell’attacco passavo di lì appunto per
investigare, e mi capitò di avvistare nell’acqua melmosa, un gruppo di animali
che non avevo mai visto.
D. Che
saremmo poi noi.
R.
Intende dire che è la vostra stessa specie.
D. Sì,
scusi, proprio quello. E che ne pensò lì per lì?
R. Ma,
guardi, io se incontro un animale che non ho mai visto, la prima e spesso
l’unica domanda che mi faccio è se è preda, predatore, o nessuno dei due. Certo
in quell’acqua torbida ci vedevo male – non male come voi che siete
praticamente ciechi, ma ecco, sicuramente peggio che se fossi stata in mare
aperto. E per questo non riuscivo a decidermi su cosa foste.
D. Lì per
lì, quali furono le sue impressioni? Se ne ebbe.
R.
Allora, predatori non credevo, non vedevo né artigli, né denti, né code
appuntite. Vedevo queste creaturine magre, con quattro lunghe pinne. Niente
coda. Testa piccola. Chiaramente a trazione posteriore, cioè la propulsione
passava per le pinne lontane dalla testa. Mammiferi, ma niente pelo come le
foche.
D. E
questo fu tutto?
R. Questo
è tutto quello che uno squalo può capire di una cosa senza morderla.
D. Quella
mattina, lei non tentò un attacco. Perché?
R. Tu andresti
addosso a una cosa che manco sai cos’è?
D. Non ha
tutti i torti.
R. E
comunque, qualcosa ho fatto. Ne ho
scelto uno che mi sembrava il più isolato dagli altri, e gli ho dato una
strusciata. Cioè gli sono passata accanto sfiorandolo con la pelle.
D. Questo
naturalmente era il giovane Rennie Cartan.
R. Lo
conosci?
D. Ha
testimoniato di aver sentito qualcosa graffiargli la caviglia mentre sguazzava.
R. Così è
stato.
D. Ne
concluse qualcosa?
R.
Decisamente non un predatore. Forse una preda.
D. Ma
decise di non attaccare.
R. No. In
quel momento non attaccai.
D. Però
rimase nei paraggi.
R. Sì,
nuotando avanti e indietro attorno al Dock.
D.
Perché?
R. Mi
interessavano quelle creature. E cominciavo ad avere veramente fame. Come le ho
detto, a Matawan Creek si mangiava poco e male.
D. Lei si
rese conto che attorno all’una del pomeriggio, mentre nuotava a pelo d’acqua
sotto un ponte nei dintorni nel Dock, fu avvistata dal Capitano Cottrell che
tornava dalla sua mattinata di pesca a Keyport?
R.
Assolutamente no. Non avevo nemmeno idea che ci fosse una cosa come un ponte.
D. Lei
non guarda mai fuori dall’acqua?
R. No. La
mia specie non lo fa.
D.
Veniamo a quelle fatali due del pomeriggio. Lei ritorna al Dock, e cosa trova?
R. Altre
creature, stessa specie di quelle prima. Ma non penso proprio le stesse. O se è
così, non m’interessa. Comincio seriamente ad avere fame. Quando ho molta fame
poi succede che mi eccito. Ho voluto fare un’altra prova, e ho dato una
strusciata ad un’altra delle creature.
D. Che naturalmente
era il giovane Ally O’Hara.
R. Ah,
pure questo ha testimoniato?
D. Sì. Di
aver sentito qualcosa come carta vetrata che gli passava sulla gamba. E
guardando nell’acqua torbida, gli è parso di aver visto la sua pinna caudale
che si allontanava.
R. Pensa
tu. Forse se fossero usciti dall’acqua in quel momento… ma no, non credo che ci
fosse tempo. Perché pochi secondi dopo io ho attaccato.
D. Il
giovane Lester Stillwell, 12 anni. Ma questo a lei non interessa. Perché scelse
lui?
R. Era il
più lontano dagli altri. Si era andato a mettere proprio sul punto più profondo
del fiume, steso sull’acqua. Sembrava più piccolo. Capisci, io sono più piatta
di voialtre creature. Per me uno di voi in verticale e uno in orizzontale son
due cose completamente diverse. Se vi mettete in verticale sembrate enormi. Se
vi vedo in orizzontale, è già una cosa meno ansiogena.
D. È
curioso che lei abbia scelto Lester Stillwell al primo colpo, sa. Perché era in
effetti il più debole di tutti, almeno fisicamente. Soffriva di epilessia. Ma
lei non poteva saperlo.
R.
Naturalmente no.
D. Può
descriverci l’attacco?
R. Non è
nulla di speciale. L’ho fatto mille volte, con prede diverse. Dato che non
guardava in acqua, ma verso l’alto, ho potuto andargli addosso dal fianco
anziché da sotto.
D. Come
faceva a sapere dove stava guardando?
R. Senti,
se uno ha una testa avrà anche gli occhi. Che di solito stanno sul davanti.
Ancora al davanti e al dietro ci arrivo.
D. Scusi.
Continui pure.
R. Gli ho
chiuso direttamente le mascelle sul petto e l’ho trascinato di sotto. Dato che
evidentemente respirava aria, era opportuno tenerlo sul fondale, per annegarlo.
Non ha fatto resistenza. Come sospettavo, troppo debole.
D. E una
volta sul fondale?
R. Ho
cominciato a mangiare. Ma che delusione.
D. Come?
R. Niente
grasso. Niente. Pochi muscoli, molte ossa, e riga. Io mi aspettavo un mammifero
tipo una foca, un’otaria, al limite un delfino, insomma animali grossi e
grassi. Che valgano la fatica fatta per catturarli.
D. Certo,
in questo caso lei non ha fatto una gran fatica ad impossessarsi del piccolo
Lester.
R. No?
Sei sicuro? E con quello che è successo dopo?
D. Prego?
R. Ma
scusa. Io ero lì a darmi da fare con la carcassa, togliendo tutto il toglibile,
il fegato, lo stomaco, qualche muscolo più grosso, insomma quel poco o nulla
che si poteva mangiare. E già lì, che frustrazione. Ma poi non arrivano altre
decine di creature, evidentemente per farmi la festa?
D. Lei
ritiene che quelle persone cercassero lei?
R. E chi
se no? Improvvisamente ho sentito attorno a me un gran baccano. Due, tre
creature, molto più grosse della mia preda, che nuotavano e si immergevano e
poi risalivano. Una cosa dura e legnosa calata sull’acqua. E quella cosa di
metallo coi buchi –
D. La
rete.
R. Ecco,
quella. Quanti morti ha fatto quel trabiccolo.
D. Lei
però deve sapere che all’inizio, non credevano che ci fosse uno squalo nel
fiume.
R. No?
D. No.
R. Ma
coso, lì, Cottrell?
D. Non
gli avevano creduto. Il piccolo Lester era epilettico. Pensavano che avesse
avuto un episodio dei suoi e fosse annegato. Si stavano immergendo per
recuperare il corpo.
R. E poi
cosa? Mangiarselo?
D. Ma no.
Restituirlo ai genitori.
R. Così
se lo mangiano?
D. No.
Lasci perdere. Il punto è che non sapevano che nel fiume ci fosse lei.
R. Ma
abbi pazienza. Io credevo di avere reso molto chiara la mia presenza. Quando
sto mangiando non tollero che mi venga vicino nessuno. Il territorio è una cosa
importante, almeno per noi. E infatti un po’ stavo sulla carcassa, un po’
nuotavo in giro, stizzita, cercando di far capire alle creature che era il caso
di andarsene. Ho persino strusciato contro uno di loro.
D. Questo
dev’essere Arthur Smith. Lei gli ha aperto una piccola ferita sull’addome, di
cui lui si è accorto subito, mentre era a mollo con gli altri.
R. Appunto.
E non vi ha spiegato com’era la situazione?
D. Ma
neanche lui riusciva a credere all’idea di uno squalo nel fiume.
R. Peggio
per lui. Insomma dopo questa mi rendo conto che tutti sono usciti, e torno sul
fondo a finire la mia carcassa. E poi è successo l’impensabile.
D. Stando
a quanto sappiamo noi, è lì che lei ha incontrato Stanley Fisher.
R. Così
mi hanno riferito.
D. Può
descriverci le sue impressioni?
R.
L’acqua era torbida, quindi c’è poco da essere precisi, ma era molto grosso.
D. Quasi
due metri per un quintale. Un pezzo d’uomo.
R. E
nuotava con energia. Più volte si era spinto a pochi metri da dove stavo
mangiando. Credevo fosse uscito dall’acqua. Ebbene, non me lo trovo accanto, e
non mi tira via la carcassa mentre mangiavo?
[continua]
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