Da *Il primo viaggio*


Da ormai tre o quattro anni, non ricordo bene il numero preciso, Virgilio era morto. A essere onesti, dopo quella brutta insolazione – e col rottame di stomaco che si ritrovava – la cosa non gli era parsa strana, e una volta fatta, non si era scomposto più di tanto. Quando si trovava per caso a discutere con gli amici, ne parlava sempre come di un fatto trascurabile. E non gli si poteva negare che quello che aveva imparato dopo che era morto era la vera notizia.
Quando gli arrivò la chiamata era appunto morto da tre o quattro anni. Intendiamoci, tre o quattro anni per noi che viviamo nel tempo lineare: all’Inferno il tempo non esiste. E insomma era in piedi, appoggiato ad una roccia scaldata dalla timida luce del Limbo, all’ombra profumata di un abete, e si era perso in chiacchiere con altri romani e greci morti prima di lui. Questi sedevano, chi su roccia chi per terra, chi appoggiato al tronco, chi – come Cornelia, la mamma dei Gracchi – sdraiata accanto al ruscello che scorreva in mezzo alla foresta, e la mano a giocherellare con l’acqua. Virgilio stava appunto raccontando un suo fatto privato quando Cornelia lo interruppe:
- Publio, scusa, ma mi pare che ti stanno a fare un incantesimo.
- In che senso, Cornelia?
- Vedi che ti sei tutto illuminato, e sei più trasparente di prima?
- Hai ragione.
- Secondo me ti stanno richiamando su nel mondo.
- Ma mica posso rinascere.
- No, no, non è quello. È un mago, uno stregone, un fattucchiere, insomma uno che richiama le anime dei morti per far fare loro dei servizi.
- Ma dopo tutto quello che abbiamo passato, come può ancora un vivo…?
- Eh, mi sa che purtroppo all’Inferno si può.
- Io disapprovo la magia.
- Pure io.
- Ma come fai tu a sapere…?
- Una zia di una mia amica era fattucchiera. Avvelenava la gente, invocava le anime perdute. Una brutta storia. Ma stai tranquillo, non ti succederà niente di male.
- Mi sento come una vertigine, annunciò Virgilio.
- Non resistere, gli suggerì Aristotele che intanto si era avvicinato, - fatti trasportare, senti che vuole, e poi torna che ne riparliamo.
Detto fatto, Virgilio scomparve, e la sua ombra si ritrovò in un sepolcreto in Tessaglia. Davanti a lui un calderone bolliva e scoppiettava sul fuoco, e una vecchia dall’aspetto orrendo, a braccia alzate e mani di sangue, lo fissava.
- Sei giunta, anima perduta. Ora sei ai miei ordini.
- Con chi ho il piacere, signora…?
- Io ti comando –
- Signora: con chi ho il piacere?
Qui Eritto, la maga tessala, si rese conto che non aveva evocato un criminale o un tagliagole, ma un membro della upper class. Abbassò le braccia e prese un tono meno da vaiassa.
- Eritto, disse, - maga e negromante.
- Una fattucchiera. Lo sospettavo.
- Mi perdonerai se ti richiamo dal tuo sonno eterno. Ma mi occorrono i tuoi servigi. Vedi questo cadavere?
E indicò il corpo morto di un uomo grande come un armadio e immobile come una pietra ai piedi del calderone.
- Lo vedo.
- Mi serve che parli. Mi serve che la sua anima torni per qualche minuto al suo corpo, e mi dica quello che deve dire. In realtà non serve a me, serve al mio cliente, che mi paga bene per questo genere di informazioni. Però quest’anima, maledetta lei, si rifiuta di obbedire al mio richiamo. Ho fatto bere a questo marcantonio un litro della mia pozione lunare, e resta morto e stramorto. Tu andrai a prendere l’anima agli inferi, dovunque si trovi, e la porterai qui. Non ti verrà fatto alcun male, e fatto il misfatto sarai libero.
- Perché l’anima di questo disgraziato dovrebbe dare retta a me e non a te?
- Son le leggi dei morti. Se il morto recalcitra, l’estremo rimedio è farlo andare a prendere da un altro morto.
- E hai richiamato me?
- Ho richiamato un’anima a caso. Sei saltato fuori tu.
- E perché dovrei farlo?
- Ti ho fatto un incantesimo. Devi.
- E chi sarebbe quest’anima?
- Demetrio figlio di Megistione.
- Ma come lo trovo un morto in mezzo a milioni di ombre…?
- Arrangiati. E cerca di essere professionale.
Un attimo dopo, Virgilio era di nuovo nel Limbo. Aristotele, Cornelia e gli altri avevano fatto capannello, e parlando rado con voci soavi gli chiesero spiegazioni. Virgilio raccontò ciò che aveva visto e sentito.
- Una malconsigliata, commentò Marzia, la vedova di Catone – che non si rende conto che finirà molto peggio di noialtri.
- Ma Virgilio è davvero costretto…?, chiese Cicerone.
- Finché non arriva il Redentore (che, sottolineo, ha predetto Virgilio qui presente) – questi maghi e streghe possono ancora fare il loro comodo con noi povere anime. Per quello che gli vale!, commentò Cornelia.
- Se sono costretto, vado, annunciò Virgilio – ma c’è un fatto. Con tutte le mie e nostre conoscenze di brava gente pagana e intellettuale, né io né voi abbiamo idea della topografia dell’Inferno. Conosciamo il fiume Acheronte e il nostro Limbo, ma giù da quel declivio per quanto ne so ci può essere di tutto.
- Una cosa la sappiamo di sicuro, intervenne Cesare, - e cioè che, tra le anime dell’Inferno, solo noi abbiamo il discutibile privilegio di poterci muovere liberamente in ogni angolo del medesimo, senza danno o rischio.
Era vero: non sapevano come lo sapessero, ma lo sapevano tutti. E anche sforzandosi di non farci caso, Caronte ci teneva a ricordarlo ogni volta che caricava un limbìcolo sul barcone. Dunque a Virgilio non restava che intraprendere il suo primo viaggio nel cuore di quell’Inferno dove avrebbe abitato per sempre. Si mise in cammino, uscendo dal prato e poi dal castello, inoltrandosi nella selva di spiriti spessi, salutando e chiedendo permesso, finché la luce artificiale che splendeva su lui e i suoi compagni non fu troppo lontana, e lo inghiottì la tenebra fitta. E anche in quel momento non ebbe paura, né fastidio, di quel viaggio che per lui sarebbe stato in fondo nient’altro che conoscenza.
La lunga fila delle anime che dalla riva sbagliata di Acheronte si fermava alla roccia di Minosse lo indirizzò subito al posto giusto. Costeggiando quella processione, si fece vedere da Minosse e cercò di attirare la sua attenzione.
- E tu che diavolo vuoi?
- Mi serve di sapere la collocazione di un’anima.
- E perché dovrei dirtelo?
Mannaggia, pensò Virgilio, mi mandasse chi so io, risponderesti senza problemi e chiederesti pure scusa: ma a te che te ne frega di Eritto?
Provò a dirgli:
- Sono costretto da un incantesimo…?
- E a me che me ne frega?
- Minosse, ho libero accesso all’Inferno. Se non me lo dici tu, me lo dirà qualcun altro. Posso sorpassare questo tuo esecrabile ufficetto in quattro passi, e umiliarti come si deve. Tanto di tempo ne ho. Vogliamo comportarci da morti ragionevoli e chiudere questa imbarazzante vertenza in poco tempo?
- Nome del dannato?
- Demetrio figlio di Megistione.
- Giudecca.
- Eh?
- La Giudecca. Nono cerchio, stagno di Cocito, sezione della Giudecca, traditori dei benefattori.
- È molto lontano?
- È l’ultima zona dell’Inferno. In culo a Satana. Divertiti, cigno di Mantova.
E torcendo la coda, tornò all’atto di cotanto offizio. Virgilio lo ignorò e passò oltre.
Certo detta così era facile: bastava andare in basso fino al capolinea. Una volta lì avrebbe chiesto. Ma se lo trovava, come convincerlo…? Un problema alla volta. Per ora, scendiamo.
E di fatto, scese. Non fece che scendere, per un tempo che gli parve eterno. Percepiva, molto sopra di sé il moto degli astri, il giorno e la notte; pure, in quel buio senza senso e senza fretta, non gli pareva che un secondo fosse molto diverso dall’altro. Non che si annoiasse, anzi. Contò con tristezza le regine sbattute qua e là dalla bufera, le protagoniste delle sue favole, ch’egli credeva fantasie e in realtà eccole qui, vere e disperate. E io che volevo Didone ricongiunta a Sicheo, pensò mentre la vedeva su e giù nel vento. Cerbero non lo disturbò, che tanto era già morto e non era un suo dannato; ma prese nota per il futuro, che se fosse mai tornato giù con un altro che non fosse morto o limbìcolo, si doveva pensare ad un trucco per calmare quella bestiaccia. Camminò lieve sul fango e non sentì la pioggia gelata; si studiò di non inciampare nei ciccioni che facevano le acrobazie nella melma. Davanti a Pluto e ai rincoglioniti coi sassi gli venne su un disprezzo tale che accelerò il passo. Arrivò alla palude Stigia...

[continua]

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